L’emergenza sanitaria indotta dalla crisi pandemica, oltre a creare problemi operativi alle imprese, ha generato e genererà nuove situazioni e problematiche che la normativa vigente difficilmente riesce a regolare in funzione delle mutate circostanze ed esigenze.
Tra queste, di sicuro interesse, vi è quella relativa ai licenziamenti collettivi e per giustificato motivo oggettivo (indotti dalla crisi, dal rispetto dei provvedimenti di lockdown, dalle risoluzioni contrattuali e dal calo di ordini) e delle successive riassunzioni, che al termine del periodo di divieto, potrebbero essere nuovamente utilizzati dalle imprese, nonostante la persistenza della situazione emergenziale.
Questo spunto di riflessione intende esporre brevemente quali scenari potrebbero aprirsi a breve termine e le possibili conseguenze di un mancato intervento sul tema da parte del Legislatore.
L’art. 46 del decreto-legge n. 18/2020 (c.d. Cura Italia) recante misure urgenti per contrastare l’emergenza Coronavirus – Covid-19 prevede che “A decorrere dalla entrata in vigore del presente decreto, l’avvio delle procedure di cui agli articoli 4, 5 e 24 della legge n. 223/1991 è precluso per sessanta giorni e nel medesimo periodo sono sospese le procedure pendenti successivamente alla data del 23 febbraio 2020. Sino alla scadenza del suddetto termine, il datore di lavoro, indipendentemente dal numero dei dipendenti, non può recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’art. 3 della legge n. 604/1966”.
In altre parole viene previsto il blocco per l’avvio delle procedure di riduzione collettiva del personale (A), nonché dei licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo (B), dal 17 marzo 2020 al 16 maggio 2020.
Nel periodo indicato, quindi, le imprese non possono giustificare provvedimenti espulsivi adducendo ragioni correlate e/o correlabili alla crisi pandemica determinata dal virus c.d. Covid 19, che ha comportato la chiusura dell’attività, oppure il calo di fatturato.
Salvo proroghe, attualmente in Italia tutti i lavoratori subordinati sono protetti dal rischio di licenziamento, mentre le imprese, per nove settimane (che devono collocarsi nell’arco temporale 23.2.2020 – 31.8.2020), possono gestire l’attuale situazione emergenziale presentando domanda di accesso alla cassa integrazione ordinaria, in deroga, assegno ordinario erogato dal Fondo di integrazione salariale (FIS) o dai fondi di solidarietà di settore, tutti con causale Covid-19.
Al termine dei periodi di “salvaguardia” indicati, le aziende potranno intraprendere nuovamente procedure espulsive e gli strumenti più utilizzati saranno proprio i licenziamenti collettivi e per giustificato motivo oggettivo, oggi temporaneamente bloccati.
E’ possibile ritenere che se il divieto di licenziamento oggettivo-economico non verrà reiterato, cosa che si ritiene più che probabile, dal 16 maggio si assisterà, purtroppo, ad una lunga serie di licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, che trovano la loro “giustificazione” e quindi “legittimazione”, proprio nella crisi economico-finanziaria determinata dalla pandemia da Covid 19, soprattutto nei settori produttivi che da più tempo sono impossibilitati a produrre e vendere i propri beni e servizi.
Peraltro questi licenziamenti comportano, allo stato, l’impossibilità per l’impresa di assumere dipendenti nelle medesime mansioni per un ragionevole periodo di tempo (C) e questo potrebbe tradursi in un inevitabile ulteriore blocco della produttività (o voluta riduzione della stessa), con grave danno sociale e macroeconomico, oltre che in riferimento alle imprese in questione.
L’avvicinarsi della data del 16 maggio prossimo venturo, quindi, richiede una corsa contro il tempo per poter scongiurare il rischio di addentrarsi in un’altra profonda crisi economica derivante dal calo produttivo-occupazionale.
Le soluzioni percorribili potrebbero essere diverse. Le prime, di natura finanziaria, prevedono contributi e finanziamenti, ossia una maggiore liquidità alle imprese, con prestiti agevolati a lunga scadenza – come suggerito dalle maggiori associazioni imprenditoriali in accordo con quelle sindacali – con l’impegno delle imprese a non licenziare, a non delocalizzare e altre condizioni finalizzate a garantire la tenuta del tessuto economico sociale, accompagnati dall’introduzione di sistemi di controllo sulla legalità e la conformità alle condizioni pattuite. Tali soluzioni e condizionamenti però non considerano pienamente i problemi indotti dal calo di fatturato, che genera nelle imprese una necessità di riassorbimento graduale della forza lavoro, generando costi che potrebbero asfissiare l’impresa, rendendola incapace di perseguire la ripresa e gli impegni assunti.
Ulteriori azioni ipotizzate ed auspicate dalle Parti Sociali consistono in strumenti d’intervento a difesa dei lavoratori licenziati, attraverso l’utilizzo della cassa integrazione e incentivi economici di altra natura (come leve fiscali) alle imprese che mantengano la forza lavoro.
Tali strumenti, tutti plausibili e necessari, dovrebbero essere accompagnati da una revisione, anche temporale, di nuove regole per gestire la crisi e l’effettivo andamento della ripresa, introducendo norme che dettino una maggiore flessibilità nelle procedure “espulsive” e reintegrative del lavoratore, sostituendole, ad esempio, con istituti “sospensivi” e reintegrativi (e non “espulsivi”), sostenuti da incentivi all’imprenditore e da fondi di integrazione salariale per il lavoratore, affinché le imprese possano reintegrare in linea con gli ordini la forza lavoro necessaria a riprendere l’operatività e i cicli produttivi, senza essere soffocate da costi insostenibili nel breve e medio periodo.
Qualunque sia la scelta, il Legislatore non potrà attendere il 16 maggio, momento in cui le imprese dovranno assumere concretamente scelte di sopravvivenza e sostenere i costi di una ripresa senza esitazioni, per definire con certezza gli ambiti regolamentari in cui imprese e lavoratori potranno muoversi per affrontare insieme le fasi di rilancio.
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(A) L’art. 4 della legge n. 223/1991 riguarda le imprese che, al termine del periodo di integrazione salariale straordinaria, non sono in grado di assicurare la ripresa piena dell’attività alle loro maestranze e non sono in grado di ricorrere a misure alternative. L’art. 24 della legge n. 223/1991, invece, concerne le imprese che, in conseguenza di una riduzione o di una trasformazione di attività, intendono effettuare almeno 5 licenziamenti nell’arco di 120 giorni, in ciascuna unità produttiva, o in più unità produttive nell’ambito del territorio della stessa provincia. Queste disposizioni trovano applicazione a tutti i licenziamenti che, nello stesso arco temporale e nello stesso ambito, siano comunque riconducibili alla medesima riduzione e trasformazione.
(B) L’art. 3 della legge n. 604/1966 fa riferimento a licenziamenti intimati per ragioni inerenti l’attività produttiva e il regolare funzionamento della stessa.
(C) Si cfr., tra le tante, Cass. Sez. Lav. sentenza n. 181 del 08.01.2019, Cass. Sez. Lav. sentenza n. 27380 del 29.10.2018, Cass. Sez. Lav. sentenza n. 31495 del 5.12.2018. Deve ricordarsi poi che a norma del D.Lgs. n. 23/2015, così come modificato dal c.d. Decreto Dignità approvato con il decreto-legge 12 luglio 2018, n. 87 e convertito dalla Legge 9 agosto 2018, n. 96, nonché alla luce della sentenza n. 194/2018 della Corte Costituzionale, se il Giudice dichiara illegittimo il licenziamento per g.m.o., il rapporto è comunque risolto e il datore non potrà essere condannato a reintegrare in servizio il lavoratore, ma solo a corrispondergli una indennità risarcitoria determinata dallo stesso Giudice (sulla scorta di una serie di criteri tra i quali rientra tuttora l’anzianità di servizio, ma anche, tra gli altri, il comportamento e la condizione delle parti, le dimensioni dell’impresa, nonché la gravità del vizio riscontrato nel licenziamento), che nel minimo non potrà essere inferiore a 6 mensilità e nel massimo superiore a 36 mensilità. Ed ancora, ex art. 15 legge n. 264/1949 (non modificato dall’entrata in vigore del D.Lgs. n. 23/2015 e sue successive modificazioni) il lavoratore licenziato per g.m.o. è titolare di un diritto di precedenza alla riassunzione, in caso si proceda ad una nuova assunzione per le stesse mansioni entro sei mesi dal licenziamento.