Il trattamento dei dati personali senza il previo consenso dell’interessato è subordinato all’essenzialità dell’informazione riguardo a fatti di interesse pubblico e la prova di tale requisito, che deve essere inteso in maniera particolarmente rigorosa, grava su chi abbia trattato i dati personali.
Questo il principio espresso dalla Corte di Cassazione con una recente ordinanza emessa a seguito del ricorso presentato da una struttura ospedaliera e da una nota emittente televisiva, condannate entrambe dal Tribunale di Roma al risarcimento dei danni nei confronti di una interessata e della figlia neonata partorita all’interno dell’ospedale.
La donna lamentava una violazione dei diritti alla riservatezza e alla dignità propria e della nascitura, entrambe esposte senza previo consenso a riprese realizzate da una troupe televisiva durante il parto, avvenuto prematuramente per delle complicanze legate alla gravidanza.
Le suddette riprese, autorizzate dalla struttura sanitaria e realizzate materialmente da una società fornitrice terza per conto della rete televisiva, venivano mandate in onda in due occasioni diverse nel corso di un programma televisivo, nonostante la formale diffida all’utilizzo del materiale inviata dalla donna a mezzo del proprio difensore.
L’interessata avanza una richiesta di risarcimento dei danni nei confronti sia della struttura ospedaliera che della rete televisiva lamentando l’insorgenza di gravi ripercussioni sul piano del suo benessere psico-fisico per essere stata ripresa contro la propria volontà durante un momento di forte intimità e sofferenza, violando altresì la normativa sulla privacy.
Sia la direzione sanitaria che la rete televisiva si difendevano sostenendo che le immagini pubblicate erano state riprese dalle telecamere collocate nei corridoi del reparto ospedaliero regolarmente autorizzate, contestando, inoltre, la violazione della privacy della ricorrente, in quanto le immagini e la voce di quest’ultima erano state opportunamente rese irriconoscibili in sede di montaggio.
Il Tribunale di Roma ascriveva alla struttura sanitaria una responsabilità di tipo contrattuale per essere venuta meno agli obblighi di protezione nel rapporto medico-paziente concorrendo alla violazione della normativa vigente in materia di protezione dei dati personali e condannava altresì la rete televisiva per aver concorso alla violazione delle medesime norme, attraverso l’utilizzo e la diffusione di dati personali sensibili trattati in violazione della disciplina prevista in materia dal codice della privacy.
A seguito di un’articolata serie di motivi di ricorso sollevati dinanzi la Corte di Cassazione – attinenti anche la prescrizione dei diritti azionati – sia l’ospedale che la rete televisiva eccepivano l’insussistenza dei profili di responsabilità contrattuale evidenziati dal Tribunale di Roma, mentre, per quel che concerne i profili privacy, la rete televisiva invocava il titolo XII del codice privacy dedicato all’attività giornalistica e alla libertà di informazione e di espressione per sostenere la liceità della propria condotta di raccolta e trattamento dei dati personali senza l’acquisizione del preventivo consenso.
La Suprema Corte rilevava l’infondatezza della censura sottolineando che, come si evince dal terzo comma dell’art. 137 del D. Lgs. 196/2003 invocato dalla rete tv, il trattamento dei dati personali senza il previo consenso dell’interessato è subordinato all’essenzialità dell’informazione riguardo a fatti di interesse pubblico, requisito da intendersi in maniera particolarmente rigorosa, come confermato dai recenti arresti della giurisprudenza di legittimità.
In questo caso la pubblicazione di immagini raffiguranti una donna durante il parto e una bambina durante i suoi primi momenti di vita, peraltro in condizioni complesse dal punto di vista medico, e il rilascio di interviste da parte del personale sanitario sulle condizioni cliniche dei soggetti interessati, non appaiono in linea con la vigente normativa in materia e con la sua interpretazione da parte della giurisprudenza.
Pertanto grava sul ricorrente l’onere di provare l’essenzialità dell’informazione e l’interesse pubblico sotteso alla sua diffusione (i.e. in un programma di intrattenimento e senza che vi fossero particolari ragioni di interesse pubblico per la trasmissione ripetuta delle immagini violative della privacy della donna e di sua figlia in una circostanza altamente emotiva e intima della loro vita): onere che, nel caso in esame, non può dirsi concretamente assolto, dato il generico richiamo alla libertà di espressione e al diritto di cronaca.
In ultimo, con riferimento all’invocata scriminante della mancata identificabilità della persona ritratta, la Cassazione precisa che si è in presenza di dati personali sensibilissimi e l’esposizione al pubblico del corpo di una persona che si è manifestamente opposta a questa possibilità costituisce una gravissima violazione della sua dignità e riservatezza, a prescindere da ogni concreta identificazione da parte del pubblico di chi sia la persona ritratta.