Con la legge di conversione del 19 novembre 2021, n. 165 (pubblicata sulla GU) viene modificato il decreto-legge 21 settembre 2021, n. 127, “recante misure urgenti per assicurare lo svolgimento in sicurezza del lavoro pubblico e privato mediante l’estensione dell’ambito applicativo della certificazione verde COVID-19 e il rafforzamento del sistema di screening”, in vigore dal 21 novembre 2021.
Tra le novità introdotte è indubbiamente di maggior rilievo quella relativa alla possibilità per i dipendenti pubblici e privati di poter chiedere di consegnare al datore di lavoro copia della propria certificazione verde COVID-19. La consegna della certificazione consente al lavoratore di essere esonerato dai controlli per il tempo di validità del certificato stesso.
Nel dettaglio la modifica introdotta dalla legge di conversione al testo dell’art. 9 septies, co. 5, del decreto-legge 22 aprile 2021, n. 52, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 giugno 2021, n. 87, così come modificato dal decreto-legge 21 settembre 2021, n. 127, a sua volta convertito in legge per l’appunto dalla legge di conversione 19 novembre 2021, n. 165, è il seguente: “Al fine di semplificare e razionalizzare le verifiche di cui al presente comma, i lavoratori possono richiedere di consegnare al proprio datore di lavoro copia della propria certificazione verde COVID-19. I lavoratori che consegnano la predetta certificazione, per tutta la durata della relativa validità, sono esonerati dai controlli da parte dei rispettivi datori di lavoro”.
Dall’esegesi della norma si può notare anzitutto che la ratio è quella di semplificare e razionalizzare i controlli.
Partendo dal presupposto che i controlli sono stati adottati dai Datori di lavoro secondo le proprie necessità e non seguendo delle linee guida imposte dal legislatore, l’esigenza di semplificare e razionalizzare le verifiche deve essere valutata dal singolo Datore di lavoro.
Infatti un Datore di lavoro ben potrebbe considerare il proprio sistema di controlli semplice e razionale, non recando alcun onere per il dipendente sottoposto alle verifiche. Ed ancora, il Datore di lavoro potrebbe considerare maggiormente tutelante, anche in ottica ’81/2008, effettuare il controllo quotidianamente.
Da qui discende la necessità di comprendere se dinanzi alla richiesta del lavoratore di consegnare il proprio certificato verde il Datore sia obbligato a riceverlo.
Le criticità della modifica sono state esposte dal Garante della privacy il quale ha segnalato in data 11/11/2021, Doc-Web 9717878, al Parlamento che:
– la prevista esenzione dai controlli – in costanza di validità della certificazione verde – rischia di determinare la sostanziale elusione delle finalità di sanità pubblica complessivamente sottese al sistema del “green pass”;
– l’assenza di verifiche durante il periodo di validità del certificato non consentirebbe, di contro, di rilevare l’eventuale condizione di positività sopravvenuta in capo all’intestatario del certificato, in contrasto, peraltro, con il principio di esattezza cui deve informarsi il trattamento dei dati personali (art. 5, par.1, lett. d) Reg. Ue 2016/679);
– la prevista legittimazione della conservazione (di copia) delle certificazioni verdi contrasta con il Considerando 48 del Regolamento (UE) 2021/953 il quale dispone che “Laddove il certificato venga utilizzato per scopi non medici, i dati personali ai quali viene effettuato l’accesso durante il processo di verifica non devono essere conservati, secondo le disposizioni del presente regolamento”;
– la nuova previsione contrasta anche con la risoluzione 2361 (2021) del Consiglio d’Europa in ordine all’esigenza di evitare possibili discriminazioni in ragione della scelta vaccinale;
– la prevista ostensione (e consegna) del certificato verde al datore di lavoro, al quale dovrebbe essere preclusa la conoscenza di condizioni soggettive peculiari dei lavoratori come la situazione clinica e convinzioni personali, pare incompatibile con le garanzie sancite sia dalla disciplina di protezione dati, sia dalla normativa giuslavoristica (artt. 88 Reg. Ue 2016/679; 113 d.lgs. 196 del 2003; 5 e 8 l. n. 300 del 1970; 10 d.lgs. n. 276 del 2003);
– il consenso in ambito lavorativo non può ritenersi un idoneo presupposto di liceità, in ragione dell’asimmetria che caratterizza il rapporto lavorativo stesso (C 43 Reg. UE 2016/679) e la consegna volontaria del green pass è da ritenersi un consenso implicito.
Da considerare poi che la nuova statuizione si pone in contrasto con l’art. 13, c.5, d.P.C.M. 17 giugno 2021 e s.m.i., il quale prevede: “l’attività di verifica delle certificazioni non comporta, in alcun caso, la raccolta dei dati dell’intestatario in qualunque forma”. Il Garante aveva infatti apprezzato la previsione dell’esplicito divieto di conservazione del codice a barre bidimensionale (QR code).
Da rammentare infine che l’esonero dei controlli, stando all’interpretazione letterale della norma introdotta con la legge di conversione del 19 novembre 2021, n. 165, coinvolge non solo quelli effettuati all’entrata, ma anche quelli a campione ed ovviamente quelli che eventualmente il Datore potrebbe voler svolgere sui certificati consegnati (in quest’ultimo caso, quindi, dovrebbe essere il lavoratore a segnalare eventuali circostanze impeditive sopravvenute).
Pertanto, alla luce di queste criticità, resta difficile comprendere se il Datore sia obbligato o meno a ricevere il certificato verde del lavoratore che richiede di consegnarlo.
Come anticipato, si può ritenere infatti che il Datore di lavoro possa legittimamente argomentare di non volerlo ricevere in ottemperanza al dettato normativo complessivo che, ancora oggi, deve ritenersi più tutelante rispetto ad una razionalizzazione delle verifiche introdotta in spregio ad alcuni principi fondamentali comunemente condivisi anche in ambito europeo.