La recente chiusura di alcune piattaforme digitali dedite alla diffusione non consensuale di immagini intime ha riportato l’attenzione pubblica su un fenomeno purtroppo sempre più diffuso: la pornografia non consensuale, le dinamiche di dominio digitale e la sistematica esposizione pubblica della sfera privata, con gravi conseguenze sul piano psicologico, sociale e giuridico.
Si tratta di una forma di violenza online, alimentata dalla cultura dello stupro, dalla mascolinità tossica e da dinamiche sociali che legittimano la trasformazione del corpo femminile in oggetto di consumo, giudizio, umiliazione pubblica.
Una doppia violazione: privacy e dignità
La diffusione non autorizzata di contenuti visivi – siano essi espliciti o anche solo allusivi – rappresenta una duplice violazione:
- del diritto alla privacy, inteso come controllo esclusivo sui propri dati personali e sulla propria immagine;
- della dignità della persona, valore fondamentale e indisponibile tutelato dalla nostra Costituzione (art. 2 e art. 3), anche in ambito digitale.
La diffusione senza consenso di contenuti intimi, o anche solo suggestivi, non è una leggerezza. È un atto lesivo, spesso reiterato, che colpisce in profondità la sfera personale e relazionale di chi lo subisce. E trova terreno fertile in ambienti digitali poco regolati, tra anonimato, deresponsabilizzazione e logiche di branco.
Un reato, non un gioco goliardico
Dal punto di vista giuridico, la pubblicazione o condivisione – anche tramite chat private, gruppi o piattaforme non convenzionali – di contenuti visivi a carattere intimo, in assenza di consenso dell’interessata/o, può configurare diversi illeciti penali, tra cui:
- Diffamazione aggravata (art. 595 c.p.);
- Trattamento illecito di dati personali (art. 167 D.lgs. 196/2003, Codice Privacy);
- Revenge porn (art. 612-ter c.p.), nei casi in cui la diffusione avvenga per finalità ritorsive o vendicative.
In aggiunta, possono sussistere responsabilità per molestie, atti persecutori (stalking), accesso abusivo a sistemi informatici, o altre condotte riconducibili a un disegno più ampio di lesione della libertà individuale.
La responsabilità penale non ricade solo su chi pubblica, ma potenzialmente anche su chi commenta, condivide o favorisce la diffusione. Anche chi gestisce piattaforme o spazi digitali può rispondere, soprattutto in caso di inerzia a fronte di segnalazioni.
DSA e GDPR: gli strumenti europei
A livello normativo europeo, la tutela delle vittime è oggi rafforzata da due strumenti fondamentali:
- Il Regolamento generale sulla protezione dei dati personali (GDPR) riconosce l’immagine come dato personale, il cui trattamento richiede sempre una base giuridica, tra cui il consenso esplicito.
- Il nuovo Digital Services Act (DSA) impone alle piattaforme digitali l’obbligo di rimuovere tempestivamente contenuti illeciti, anche su semplice segnalazione dell’interessato o di autorità competenti, e stabilisce doveri di trasparenza e diligenza nella moderazione.
Il ruolo del Garante Privacy
Oltre alla tutela penale, il nostro ordinamento offre un’importante protezione in sede amministrativa, affidata al Garante per la protezione dei dati personali. Le vittime di diffusione illecita di immagini intime possono presentare un reclamo o una segnalazione formale all’Autorità, la quale ha il potere di:
- ordinare la rimozione immediata dei contenuti illeciti;
- irrogare sanzioni pecuniarie nei confronti dei titolari o responsabili del trattamento;
- trasmettere gli atti alla Procura della Repubblica qualora emerga la commissione di reati.
La procedura è gratuita, può essere attivata anche senza l’assistenza di un legale, e si avvia attraverso la compilazione dell’apposito modulo disponibile sul sito istituzionale del Garante (www.garanteprivacy.it), da inoltrare via PEC o raccomandata A/R
Azioni concrete per contrastare il fenomeno e aiutare le vittime
Oltre agli strumenti legali, è essenziale promuovere buone prassi collettive per contrastare il fenomeno in modo efficace. In particolare:
- È fondamentale non alimentare la diffusione: ogni visualizzazione, click o condivisione contribuisce ad amplificare il danno. Anche la semplice curiosità può tradursi, di fatto, in complicità passiva.
- Parlare del fenomeno sì, ma senza diffondere dettagli, nomi di piattaforme o link che possano reiterare l’esposizione delle vittime. Il racconto deve essere consapevole e rispettoso.
- Se si entra in contatto con contenuti di questo tipo, è importante:
- non interagire, ma segnalare immediatamente alla piattaforma ospitante;
- raccogliere prove (screenshot, URL, data e ora, eventuali username) per supportare la vittima in sede legale;
- incoraggiare le persone coinvolte a presentare denuncia alla Polizia Postale e a rivolgersi a professionisti legali o sportelli specializzati in violenza online.
- Sul piano culturale, è necessario superare la narrazione colpevolizzante nei confronti delle vittime. Frasi come “se la poteva risparmiare” o “doveva stare più attenta” sono espressioni di victim blaming e contribuiscono a una doppia vittimizzazione.
Contrastare la violenza digitale richiede, quindi, una presa di coscienza collettiva, non solo sul piano giuridico ma anche etico, relazionale e comunicativo. La responsabilità di rendere la rete un luogo più sicuro ricade su ciascun utente.
Oltre la repressione: educazione e consapevolezza
Accanto alla risposta repressiva e sanzionatoria, è necessario agire in una prospettiva di prevenzione, investendo su:
- educazione al digitale nelle scuole;
- promozione di una cultura del consenso;
- alfabetizzazione giuridica e tecnologica che renda le persone consapevoli dei propri diritti e delle conseguenze delle proprie azioni online.
Solo attraverso un approccio integrato – culturale, normativo e tecnologico – sarà possibile costruire uno spazio digitale in cui la libertà non diventi alibi per l’abuso, e la privacy non venga sistematicamente sacrificata sull’altare dell’intrattenimento.
Conclusioni: dalla protezione alla prevenzione
La diffusione non consensuale di immagini intime non è solo una violazione della privacy: è una forma strutturata di violenza, che va riconosciuta, perseguita e contrastata con tutti gli strumenti a disposizione, giuridici e culturali.
Le vittime hanno diritto a essere ascoltate, tutelate e risarcite. E tutti noi, come professionisti, cittadini e utenti digitali, abbiamo il dovere di contribuire attivamente a costruire un ecosistema digitale che non sia luogo di esposizione e abuso, ma spazio di rispetto, libertà e dignità.