Le autorità fiscali italiane hanno aperto un contenzioso senza precedenti con tre giganti del web – Meta, LinkedIn e X – contestando oltre 1,14 miliardi di euro di IVA legati all’uso dei dati personali degli utenti italiani. Secondo l’Agenzia delle Entrate, questi dati rappresentano una vera e propria controprestazione in cambio dei servizi digitali offerti gratuitamente dalle piattaforme. Le aziende si sono opposte, avviando ricorsi davanti alla Corte di giustizia tributaria.
Ma la posta in gioco non è solo economica. Si tratta di capire se, e in che misura, i dati personali possano essere trattati come un bene fiscalmente rilevante.
Dati come corrispettivo? Il nuovo approccio italiano
Tradizionalmente, le dispute tra fisco italiano e Big Tech riguardavano le imposte dirette sui profitti. Oggi, invece, il focus si sposta sull’IVA: secondo l’Italia, l’interazione tra utenti e piattaforme digitali non è gratuita, perché gli utenti cedono dati personali, che le aziende monetizzano attraverso la pubblicità mirata.
In questa logica, l’uso dei social network o di altri servizi online sarebbe un vero e proprio scambio commerciale, soggetto all’aliquota IVA ordinaria del 22%.
Il precedente europeo e la sfida alla normativa UE
Nel 2018 il Comitato IVA dell’Unione Europea (organismo tecnico che fornisce linee guida sulla normativa fiscale) aveva escluso l’imponibilità dell’IVA sui servizi IT gratuiti, riconoscendo che gli utenti non hanno consapevolezza di svolgere un’attività economica vera e propria semplicemente iscrivendosi a un social network.
Tuttavia, il parere lasciava uno spiraglio: se si dimostrasse un collegamento diretto e concreto tra i dati forniti e il servizio ricevuto, potrebbe configurarsi un’operazione soggetta a IVA. L’Italia punta proprio su questa eccezione per giustificare la propria posizione.
Verso un parere europeo decisivo
Per consolidare la propria linea, l’Italia si prepara a chiedere un parere vincolante al Comitato IVA europeo. Un pronunciamento favorevole rafforzerebbe la possibilità di estendere questo approccio ad altri Stati membri, aprendo la strada a una nuova tassazione dell’economia digitale basata sul valore dei dati.
Al contrario, un parere contrario potrebbe bloccare le iniziative italiane e lasciare invariata la normativa attuale.
Oltre la fiscalità: tra IVA, dati personali e privacy
L’iniziativa italiana solleva anche questioni delicate legate alla privacy e al GDPR. Trattare il consenso al trattamento dei dati come una controprestazione economica potrebbe confliggere con i principi fondamentali della protezione dei dati personali, che non si basano su logiche contrattuali.
Conclusione
La sfida aperta dall’Italia alle Big Tech tocca un punto nevralgico dell’economia digitale: qual è il valore dei dati personali, e chi ne beneficia?
Questo caso è uno dei più significativi esempi dello scontro tra Stati nazionali e grandi piattaforme digitali sulla tassazione, con un’attenzione crescente al valore economico dei dati personali. La decisione potrà influenzare profondamente il futuro della fiscalità digitale e solleva anche questioni di privacy e protezione dei dati, viste le differenze con i principi del GDPR.